venerdì 9 novembre 2012

Non abbiamo il diritto di abbandonare le speranze

Non abbiamo il diritto di abbandonare le speranze. L'idea di disinteressarci del futuro, di gettare la spugna o semplicemente di rivolgere il nostro sguardo altrove è oggi una tentazione fortissima.
Lo dimostrano anche i dati delle recenti elezioni siciliane, oltre il 52% dei cittadini hanno ritenuto inutile esprimere la propria preferenza. Se poi sommiamo a questi quelli che hanno votato per il Movimento 5 Stelle, raggiungiamo quasi il 70% di cittadini che non hanno accordato la loro preferenza ai partiti esistenti fino ad oggi.
Ma analizziamo un attimo la situazione. Questi dati, sotto certi aspetti sconvolgenti, rendono palese ciò che già era nell'aria. I cittadini attribuiscono ai partiti che fino ad oggi hanno governato, un sostanziale fallimento. E non solo. Riconoscono loro anche una certa dose di malafede. Come dire, hai fallito in quello che dovrebbe essere l'obiettivo della Politica, e lo hai fatto anche in malafede. Ovviamente non è mai corretto generalizzare, ma questo sentimento traspare dalle ultime consultazioni.
I cittadini non sono più arrabbiati, lo erano, non sono più indignati, forse lo erano, sono rassegnati. E' la rassegnazione all'idea che niente possa cambiare a portarci a non votare autoconvincendoci di fare un torto a chissa chi. Ma in realtà il non votare a chi giova? E chi danneggia?
Allora, sicuramente giova a quelli che “possiedono” i voti e che li vendono. Quindi i voti venduti dalla criminalità organizzata, se pochi elettori vanno a votare, ci rendiamo conto del peso che assumeranno? Esprimeranno personalità politiche ai vertici, senatori, ministri forse. Questo perchè quei voti in percentuale peseranno di più del passato. Quindi risposta uno: giova alla criminalità organizzata. Poi gioverà a chi, con logiche clientelari, ha un “proprio” bacino di voti, tenuto al guinzaglio grazie a contratti di lavoro a tempo determinato, che rendono le persone ricattabili e bisognose del continuo intervento del capo bastone di turno. Quindi, risposta due: giova al vecchio modello di politico faccendiere.
L'astensione invece chi danneggia? Certamente danneggia chi prova a impegnarsi per cambiare e che vuole sfidare l'idea del “tanto non è possibile”. Questo perchè chi vuole fare piazza pulita non conta certo su uno zoccolo duro di voti, l'unica speranza è riposta nei cittadini i quali, stanchi di quanto visto fino ad oggi, con il loro voto vogliano cambiare qualcosa (qualcosa e non tutto, è già un grande passo).
La conclusione è che se non votiamo aiutiamo la criminalità organizzata, ostacoliamo il rinnovamento della classe politica e stronchiamo sul nascere ogni germoglio del cambiamento che parte dal basso e che, partendo appunto dal basso, non dispone di grandi mezzi finanziari ma fa leva solo sull'idea che in democrazia il popolo decide chi governa, non i capitali, non le tv, non i giornali, non le fondazioni, non le banche, i cittadini. In questo scenario, non abbiamo il diritto di abbandonare le speranze.
E poi un'altra cosa. Guardando mio figlio che dormiva, ho visto in lui la naturale voglia di futuro. Il desiderio di scoprire, di crescere, di sperare, di sognare. Ho capito, in quel momento, che non è nella mia disponibilità scegliere se impegnarmi perchè il nostro quartiere, la nostra città, il nostro Paese, il mondo, migliorino. Non ho il diritto di lasciare che le cose siano. Ma anzi, ho il dovere di provare a cambiare, di ragionare per capire sempre se necessario quale è il male minore. E non mi interessa “vederlo sistemato”, perchè sarebbe un obiettivo minuscolo e miope, che non giustificherebbe tanti sforzi, ma invece mi batte il cuore forte nel volere per tutta la sua generazione e per quelle che stanno nascendo in questo momento una società un po' più equa, un po' più viva, dove amare, sperare, sognare, realizzare non siano solo verbi ma quotidiana realtà. Possiamo e dobbiamo ripartire, anche da un voto.
(Articolo apparso come editoriale di Libertà, giornale dell'Arcidiocesi di Sassari, il 30 ottobre 2012)

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