sabato 21 gennaio 2012

Cooperatori con Dio. La Famiglia secondo Giovanni Paolo II


Era il novembre del 1981, quando il Santo Padre Giovanni Paolo II nel suo studio in Vaticano ultimava la lettera apostolica Familiaris Consortio, documento che si concentra sui compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi. Oggi dopo trent'anni la Familiaris Consortio è ancora estremamente attuale. Ciò che colpisce è l'innalzamento e l'immenso rispetto nei confronti della coppia che trasuda dalle parole del Santo Padre.

Ogni atteggiamento di pressapochismo e di superficiale o distratto accostamento al sacramento del Matrimonio e alla vita di coppia viene spazzato via dall'approccio del Papa Beato. Ci si trova di fronte ad una meticolosa descrizione di ciò che la famiglia è. “Famiglia, diventa ciò che sei”, è un'esortazione che oggi è quanto mai attuale. Per la famiglia “diventare” ciò che “è” comporta una presa di coscienza importante, è un invito a divenire consapevoli della grandezza che l'unione di due esseri umani assume anche in chiave universale, divenendo parte dell'Alleanza del Signore con l'umanità. Si tratta di andare estremamente a fondo nell'approccio con la stessa esistenza e in quella natura che ci “costringe” ad amarci per dare seguito alla nostra specie. Si legge: ”Nella sua realtà più profonda, l'amore è essenzialmente dono e l'amore coniugale, mentre conduce gli sposi alla reciproca «conoscenza» che li fa «una carne sola» (cfr. Gen 2,24), non si esaurisce all'interno della coppia, poiché li rende capaci della massima donazione possibile, per la quale diventano cooperatori con Dio per il dono della vita ad una nuova persona umana. Così i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di sè stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre.” Cosa ci può essere di più grande dell'essere cooperatori del Signore e quale immagine più dolce potremmo trovare per definire un figlio del “riflesso vivente dell'amore dei genitori”? E ancora: “Divenendo genitori, gli sposi ricevono da Dio il dono di una nuova responsabilità. Il loro amore parentale è chiamato a divenire per i figli il segno visibile dello stesso amore di Dio, «dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,15). Non si deve, tuttavia, dimenticare che anche quando la procreazione non è possibile, non per questo la vita coniugale perde il suo valore. La sterilità fisica infatti può essere occasione per gli sposi di altri servizi importanti alla vita della persona umana, quali ad esempio l'adozione, le varie forme di opere educative, l'aiuto ad altre famiglie, ai bambini poveri o handicappati.”
Concetto più forte per spiegare la grandezza del dono della procreazione non ci potrebbe essere. Il concetto di due esseri umani che per donare la vita diventano partners del Signore ci pone di fronte al grande mistero di una nuova vita. Il Signore non genera la vita senza l'ausilio dell'essere umano. Anche nel caso del Suo Figlio, pur segnando in quel caso la Sua azione in misura molto più rilevante, non ha rinunciato alla cooperazione con l'essere umano, chiamando Maria ad accettare il ruolo che per Lei era stato riservato dall'inizio dei tempi. Ma anche in quel caso, pur preservando l'eccezionalità dell'evento non volle rinunciare alla fondamentale cooperazione della coppia, chiedendo a Giuseppe un infinito atto di fede e di amore, chiedendogli di accettare il soprannaturale nella sua vita, di rispondere affermativamente a ciò che sarebbe stato inspiegabile per tutte le persone che lo circondavano e che non avrebbero capito.
I coniugi “mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio”; si tratta di inquadrare l'unione carnale di due esseri umani nel mistero dei tempi e della Storia dell'Uomo. Figuratamente vediamo la coppia che va oltre sè stessa, chiamando all'interno della propria unione l'azione di Dio che trasforma in codici umani il grande dono divino di una nuova vita.
Quest'anno, a fine maggio, si terrà a Milano il VII Incontro Mondiale delle Famiglie. L'incontro precedente fu a Città del Messico nel 2009. Oggi più che mai c'è bisogno di parlare di famiglia, la crisi economica mondiale tinge sempre più di incertezza il futuro delle classi più giovani, è necessario intervenire con politiche a sostegno delle famiglie e dei giovani che desiderano costituirne una. Se la Sardegna è una delle zone con il più basso tasso di natalità al mondo urge modificare qualcosa, a partire dalla nostra regione. C'è anche chi, al di là delle oggettive difficoltà, non sente l'esigenza di formare una famiglia o valuta che i tempi non siano rosei per dare al mondo un figlio. Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio, con parole che sembrano descrivere la situazione che oggi ci troviamo a vivere, ci dice chealcuni si domandano se sia bene vivere o se non sia meglio neppure essere nati; dubitano, se sia lecito chiamare altri alla vita, i quali forse malediranno la propria esistenza in un mondo crudele, i cui terrori non sono neppure prevedibili. (…) Altri ancora, imprigionati come sono dalla mentalità consumistica e con l'unica preoccupazione di un continuo aumento di beni materiali, finiscono per non comprendere più e quindi per rifiutare la ricchezza spirituale di una nuova vita umana. La ragione ultima di queste mentalità è l'assenza, nel cuore degli uomini di Dio, il cui amore soltanto è più forte di tutte le possibile paure del mondo e le può vincere.”

giovedì 5 gennaio 2012

Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. La Sardegna diventa Luogotenenza

Domenica 30 ottobre nella chiesa di San Giuseppe in Sassari si è svolta la solenne Celebrazione Eucaristica in onore della Beata Vergine Maria Regina della Palestina, patrona dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Erano presenti alle celebrazioni la Sezione Sardegna Nord dell'OESSG, organizzatrice dell'incontro, con le delegazioni di Sassari, Nuoro e Oristano e i rappresentanti della Sezione Sardegna Sud e della Luogotenenza per l'Italia Sardegna. Il corteo di Cavalieri e Dame con i rispettivi vessilli ha sfilato lungo via Mons. Masia per entrare in chiesa attraverso il portone principale. Il Preside Sebastiano Casu ha introdotto la cerimonia con la Preghiera a Nostra Signora Regina della Palestina.
Nel contesto delle celebrazioni è stato ufficializzato il nuovo assetto territoriale dell'OESSG nell'isola. Di recente la Sardegna, in precedenza parte della Luogotenenza per l'Italia Centrale Sardegna, è divenuta una Luogotenenza a sé stante, ovvero Luogotenenza per l'Italia Sardegna. Questa decisione del Gran Magistero denota in maniera chiara la grande considerazione di cui gode la Sardegna e le aspettative che si rivestono nella crescita dell'Ordine sul territorio. Si è arrivati a questo importante traguardo attraverso le pluriennali attività discrete e costanti degli appartenenti all'Ordine, impegnati in un percorso di crescita spirituale e nel sostegno economico alla Terra Santa. Per meglio comprendere l'importanza di quanto avvenuto si consideri che Luogotenenze al pari della Sardegna oggi sono l'intera Francia, l'Austria, la Svezia, il Portogallo, la Polonia, la Germania, l'Inghilterra insieme al Galles, la Colombia, l'Argentina.
La Luogotenenza per L'Italia Sardegna a sua volta comprende due sezioni, la Sezione Sardegna Nord e la Sezione Sardegna Sud. All'interno della celebrazione di domenica 30 ottobre il celebrante S. E. Rev.ma Mons. Paolo Atzei, Gran Uff.le dell'Ordine, ha benedetto il vessillo della neo istituita Sezione Sardegna Nord della quale egli stesso è il Priore. La Sezione è stata inoltre intitolata al Beato Giovanni Paolo II. Si legge dalla pergamena ufficiale la motivazione: il Beato con il suo scritto del 2 marzo 2000 concesse al Nostro Ordine la Personalità Giuridica Vaticana e stabili la Sede dell'Ordine nello Stato della Città del Vaticano, sottolineando così l'inclusione formale dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme nella Chiesa Universale. L'Arcivescovo ha inoltre dedicato una profonda omelia alla Regina della Palestina, ricordando appunto il fortissimo legame tra la Vergine Maria e quella Terra Santa che l'ha vista divenire non solo Madre di Dio ma la prima discepola, esempio per tutti noi ed essenza di tutto ciò che vorremmo essere.
Al termine della Santa Messa il Luogotenente S. E. il dott. Efisio Luigi Aste ha rivolto ai presenti un breve discorso. Dopo aver ufficializzato la nomina del Comm. Sebastiano Casu, già Delegato di Sassari, al ruolo di Preside della Sezione Sardegna Nord, del Comm. Paolo Mulas alla guida della Delegazione di Sassari, e del Comm. Leonardo Tilocca a rappresentante della Sezione all'interno del Consiglio di Luogotenenza, il Luogotenente ha voluto fare un quadro delle attività recenti dell'Ordine e dei prossimi impegni. Ha proseguito poi facendo riferimento ai progetti che l'OESSG direttamente o tramite il Patriarcato Latino di Gerusalemme porta avanti, compresi quelli che prevedono la costruzione di unità abitative, di cui Beit Safafa è un esempio (il progetto di Beit Safafa è il più grande progetto immobiliare destinato alla popolazione araba di Gerusalemme. Il Patriarcato latino, promotore dell'iniziativa, attraverso di essa intende contenere il crescente esodo dei cristiani dalla Terra Santa. Le prime abitazioni dovrebbero essere consegnate in meno di un anno). Il Luogotenente ha inoltre ringraziato il già Delegato di Sassari Comm. Prof. Vincenzo Picci per il grande impegno profuso.
Numerose le autorità presenti, tra le quali l'On. Beppe Pisanu, il Comandante provinciale dei Carabinieri Col. Francesco Atzeni, il Procuratore Generale dott. Claudio Lo Curto, l'ex presidente della Regione Sardegna Italo Masala, l'On. Arturo Parisi, il Comandante della Gdf Col. Corrado Pillitteri, una rappresentanza del Sovrano Militare Ordine di Malta guidata dal dott. Carlo Pilo. Erano inoltre presenti numerosi esponenti dell'imprenditoria locale e delle attività economiche. Il Luogotenente ha concluso recitando insieme ai presenti la Preghiera del Cavaliere.

Riportiamo il pensiero del neo Preside Sebastiano Casu circa alcuni punti chiave
Comm. Casu, Lei è e rimarrà sempre il primo Preside della Sezione Nord Sardegna. Un onore personale che comporta però anche una grande responsabilità.
Ne sono cosciente. E' certamente un onore e una responsabilità insieme. A questa responsabilità intendo rispondere in maniera fattiva. Sono convinto che con questa gratificazione per il lavoro svolto, nel passato, da noi tutti della Delegazione di Sassari, si debba lavorare, in futuro, con maggiore volontà e determinazione per il raggiungimento degli obiettivi generali dell'Ordine che sono, in definitiva, quelli impartiti attraverso il Gran Maestro, dalla nostra Madre Chiesa.
Gli obiettivi dell'Ordine Equestre del Santo sepolcro di Gerusalemme sono la crescita spirituale degli appartenenti e il sostegno economico concreto alla Terra Santa. Quali sono invece gli obiettivi nel territorio?
Il primo obiettivo è operare per una crescita dell'Ordine, con prudenza e attenzione nella selezione e nell'accoglienza di nuovi appartenenti, certamente con l'intento di accrescere la presenza qualificata di nuovi Cavalieri nel Nord Sardegna. Un altro obiettivo è senza dubbio incrementare gli incontri con le guide spirituali per il conseguimento di una maggiore cultura dei testi sacri e della Dottrina della Chiesa. Ritengo poi che sia necessario impegnarsi fattivamente nelle Parrocchie e nelle varie Diocesi per aiutare la nostra chiesa locale. Inoltre, far si che vi sia una forte coerenza degli appartenenti all'Ordine nella vita normale di tutti i giorni. E' infatti di estrema rilevanza che per un Cavaliere o una Dama dell'OESSG vi sia una perfetta correlazione tra ciò che dice e ciò che fa, nel quotidiano e, in obbedienza alla Santa Romana Chiesa, difendere sempre i nostri valori religiosi.
Che senso ha oggi far parte di un ordine cavalleresco che, anche se riformato nel 1847, ha le sue radici nella Gerusalemme del secolo XI?
Il senso è ricordare a tutti che il Sepolcro è vuoto. Noi portiamo avanti un discorso che parte da Gesù Cristo, dalla sua dottrina, dalla sua Resurrezione e, in quest'ottica i secoli che passano nulla tolgono al suo valore. Viviamo un'epoca caratterizzata da una crisi economica globale e che sembra ignorare molti valori Cristiani e dove la carità è bandita. Oggi noi vogliamo sottolineare che quei valori e quella dottrina di duemila anni fa restano intatti e necessari sempre più. Dobbiamo lavorare per dimostrare che come si è all'esterno si è anche nell'interiorità e nella vita privata. I valori cristiani nei quali crediamo devono dunque tradursi in vita concreta, nel lavoro, in famiglia, in politica, nei rapporti sociali. In duemila anni il mondo è cambiato ma resta sempre valido e attuale il messaggio di Cristo. Testimoniarlo è il senso della nostra appartenenza all'Ordine.

Il contadino folle

Tempo fa in un luogo non lontano da qui, visse un contadino. Per tutta la vita, sin da giovanissimo, aveva lavorato duramente la terra. Aveva realizzato, con disciplina e costanza, un discreta fortuna, e un'azienda che gestiva una gran quantità di terreni. Si era conquistato la stima della gente del suo paese, e aveva insegnato il mestiere a molti giovani, divenuti con il tempo ottimi contadini.
Il contadino diventò anziano, con una rendita importante che gli veniva dall'attività della sua azienda, ormai gestita da altri per lui. Alcune voci iniziarono a serpeggiare tra la gente. "E' diventato pazzo" - si raccontava - "Il troppo denaro gli ha dato alla testa".
L'uomo non aveva bisogno di lavorare, avrebbe potuto oziare tutto il giorno, vivendo comunque un'esistenza agiata fino alla fine dei suoi giorni. Invece si alzava prestissimo al mattino, e se ne andava a spasso per terreni aridi e sterili gettando semi, rivoltando la terra e irrigandola.
Apparentemente non dava segni di squilibrio, ma le persone dicevano tra loro "Conosce meglio di chiunque altro queste terre, sa benissimo che i terreni dove sta seminando sono aridi e sterili da generazioni. Ha perduto il senno". Nessuno, incontrandolo, osava però toccare l'argomento. Tutti erano concordi nell'affermare che la sua follia non fosse riconoscibile all'esterno. Ma c'era.
Un giorno, un gruppo di donne mandò un bambino a chiedere cosa stesse facendo il vecchio contadino.
"Ciao signore, che fai?"
"Pianto dei semi.  E prego perchè diano frutto." Rispose il vecchio.
"Ma non lo sai che qui non cresce niente da generazioni?".
Il vecchio si chinò, e guardo negli occhi il bambino. "Sai - iniziò con grande calma - per tutta la vita ho lavorato la terra. Ho tanti terreni, che danno molti frutti. Ho guadagnato molto bene e ancora guadagno tanto, perchè c'è chi lavora per me. Da ragazzo, lavoravo tanto perchè sognavo una famiglia, una bella casa e i soldi sicuri tutti i mesi. Ho raggiunto questi obiettivi tanti anni fa. Oggi però ho capito che è facile ottenere tanto da terreni curati ogni giorno da tanti anni con molto lavoro. Questi terreni invece, che tu dici essere aridi e sterili da generazioni, sono poco distanti dai miei. Ma non sono di nessuno. Le persone, tanti anni fa, decisero che erano sterili, e li abbandonarono al loro destino."
Il bambino ascoltava con attenzione, sapendo di dover riferire alle donne che lo aspettavano. Le rughe scure nel viso del vecchio lo tenevano imprigionato, come legato dal susseguirsi delle sue parole che gli vorticavano intorno.
"Oggi sono anziano - il vortice misterioso proseguiva - e ho imparato una cosa. Non vivrò ancora per molto. E cosa avrò lasciato? Una bella azienda, dei bravi contadini, dei soldi, dei mattoni. Ma la gente ha sempre saputo che la terra buona, coltivata dà i suoi frutti. Lo sapeva prima che io esistessi, e continuerà a saperlo dopo di me. Questi terreni in cui lavoro tutti i giorni adesso, possono dare frutto. Nonostante la gente sia convinta del contrario per un'idea che si tramanda di generazione in generazione. Allora per questo io semino questa terra brulla, spinosa, secca. Perchè varrà molto di più una piantina nata qui, che tutte le mie terre rigogliose."
Il bambino andò via pensando che per lui il vecchio non era pazzo. 

Strana realtà

Viviamo una strana realtà. Chi appare, spesso a dispetto delle apparenze, non ha e non può. Chi ha e può molto, spesso non appare.

L'orgoglio

Può essere di aiuto quando non riusciamo a reagire, ma non lasciamo che cresca senza controllo, finirà col renderci prigionieri, impedendoci di agire come vorremmo.

L'effetto molla

Quando tocchiamo il fondo, non ce la facciamo più a sopportare, vediamo tutto nero. In quei momenti dobbiamo cercare di essere come le molle. Più ci sentiremo spinti verso il basso più nel rialzarci arriveremo in alto. Più in alto di dove siamo partiti.

Responsabilità

Il profitto non può essere l'unica meta dell'uomo europeo. Il profitto e la conservazione del potere hanno accecato l'uomo.
Dobbiamo assumere tutti maggiore responsabilità. Se maltrattiamo il pianeta finiremo con lo scomparire, se abusiamo senza criterio delle risorse economiche finiremo in bancarotta.
La strada per un domani sostenibile passa dall'assunzione di responsabilità di tutti noi. Nessuno escluso.

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico

Un dottore della legge interroga Gesù, chiedendogli: chi è il mio prossimo? Gesù gli risponde:
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso»
La parabola de buon samaritano lancia messaggi fortissimi, che restano attuali anche oggi e lo saranno domani. E che arrivano con una forza rivoluzionaria enorme. Tanti anni fa iniziai a rifletterci sopra. E da allora non mi ha mai abbandonato, ricca di significati e insegnamenti. Gesù è là, su quella strada, in terra nella persona dell'uomo aggredito e contemporaneamente nel cuore del samaritano.
Ma tutti noi siamo al contempo l'uomo per terra, l'uomo che passa indifferente e il samaritano.
Ogni tanto la frase che apre la parabola mi risuona in testa, si presenta all'improvviso e ruba la mia attenzione. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico.
Possiamo ambientare i fatti ovunque, sulla strada da Sorso a Sassari, da Roma a Ostia, ma niente cambia. C'è un uomo, disteso per terra, ferito, e degli altri uomini che gli passano accanto, senza fermarsi. Tranne il terzo, che passando decise di soccorrere l'uomo.
C'è tutto l'essere umano qui. Ci siamo noi, quando nella vita abbiamo un disperato bisogno di aiuto, e sempre noi quando, per paura o indifferenza, non ci chiniamo a soccorrere un altro essere umano in difficoltà. E poi ci siamo noi, gli esseri umani, capaci di gesti rivoluzionari, che hanno la forza di cambiare il destino del mondo e i cuori degli altri uomini.
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. E tutto il resto sembra perdere importanza. Il nostro frenetico andirivieni, la corsa al denaro, la nostra eterna insoddisfazione per i nostri insuccessi o per i successi degli altri.
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. E nessuno si ferma, troppo intento a correre, troppo concentrato a raggiungere i propri obiettivi, nella piccolezza del suo recinto, senza alzare lo sguardo all'infinito, meta del cammino dell'uomo.
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Proviamo a chinarci su di lui. Proviamo a chinarci su di noi.

Poco spazio per i giovani. Così uccidiamo il nostro futuro.

Viviamo un'epoca di profonda crisi economica caratterizzata da una lentissima crescita del nostro paese e da elevati tassi di disoccupazione e occupazione precaria. I dati ci raccontano di giovani laureati che sempre più frequentemente oltrepassano le frontiere italiane alla ricerca di una realizzazione professionale che permetta loro di valorizzare percorsi di formazione lunghi e fitti di sacrifici.
Dall'estero sembra che questo fenomeno sia osservato con attenzione tanto che il Financial Times nota che “c' è un paese europeo che ha caratteristiche da mondo arabo: un'economia sclerotica, vita civile danneggiata da corruzione e malavita, crescente scontro generazionale. È controllato da una classe gerontocratica blindata in politica ed economia, che costringe i giovani migliori a espatriare per l'Europa. Questo paese è l' Italia. Una democrazia, quindi il concistoro dovrebbe essere rimpiazzabile. Eppure non è mai così: più elezioni ci sono meno sembra cambiare”. L'Economist a sua volta sostiene che il talento e il merito contano poco per avere un posto di lavoro in Italia con la conseguenza che i laureati italiani non vedono l'ora di emigrare.
Come se tutto ciò non bastasse a generare preoccupazione c'è dell'altro. I dati di Almalaurea ci dicono che chi si è laureato nel 2009 se è rimasto in Italia un anno dopo riceve 1.054 euro al mese, se è fuggito 1.568. E più passa il tempo, più la differenza si fa pesante: un laureato del 2005 rimasto ha una busta paga media inchiodata a 1.295 euro, l’emigrante nel frattempo è arrivato a 2.025 euro. Oltre 700 euro di differenza. Da una ricerca di Italia Lavoro riguardante il titolo di studio degli italiani scopriamo che, per quanto riguarda i cittadini fermatisi alla licenza media si evidenziano valori particolarmente elevati e pari a circa al doppio della media nazionale, in Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia.
Ne consegue che, buttando un occhio alla nostra Sardegna, lo scenario è questo: pochi laureati e diplomati rispetto alla media nazionale e molti tra i laureati costretti a emigrare per raggiungere uno sbocco professionale soddisfacente. Quale sarà dunque il futuro che stiamo preparando per le generazioni prossime? E sopratutto per quale motivo oggi i giovani che si immettono nel mercato del lavoro trovano così pochi spazi ad accoglierli, sopratutto se laureati e qualificati? Di recente Mario Draghi, neo presidente della BCE, si è espresso sull'argomento. Parlando dell'Italia ha detto che “vige il minimo di mobilità a un estremo, il massimo di precarietà all'altro. È uno spreco di risorse che avvilisce i giovani e intacca gravemente l'efficienza del sistema produttivo. I salari di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro in termini reali sono fermi da oltre un decennio su livelli al di sotto di quelli degli anni Ottanta. La recessione ha reso più difficile la situazione e il tasso di disoccupazione dei giovani supera il 30%".
Il minimo di mobilità ad un estremo (ovvero chi è in età avanzata e tende a conservare la propria posizione) e il massimo di precarietà all'altro (i giovani appunto). Proviamo dunque ad analizzare le conseguenze di questo. Più che ad una alleanza generazionale, più che ad un sereno e sempre più costruttivo passaggio di consegne, stiamo assistendo a una guerra fredda tra generazioni. Le nuove generazioni considerano un lusso alcuni passi fondamentali della crescita umana e cristiana come il possedere una casa propria e la possibilità di creare una famiglia e crescere dei figli. Le coppie in cui uno dei due coniugi dispone di un contratto a tempo indeterminato hanno difficoltà a raggiungere la soglia reddituale richiesta dagli istituti di credito per la concessione di un mutuo, e qualora la raggiungessero molto probabilmente non potrebbero far fronte all'impegno finanziario richiesto per il saldo di una parte dell'immobile da acquistare, il cosiddetto anticipo per la casa. Ma, l'abbiamo visto, la norma è un'altra, la maggior parte delle coppie giovani infatti dispone di contratti a tempo determinato, cosa che complica ancora di più l'accesso al credito. E quindi si rimanda tutto, il matrimonio, la prospettiva di avere dei figli, il momento della serenità.
Cresce dunque la frustrazione tra le nuove generazioni e la fiducia nel futuro è costantemente minacciata, con devastanti conseguenze nell'approccio alla vita e alla progettazione del futuro. Una considerazione a parte merita il rapporto dei giovani con l'attuale classe dirigente. Corruzione, superficialità, assenza di tensione morale, conservazione delle posizioni di potere, interessi economici, egoismo, tutti elementi che spesso la cronaca associa ad esponenti della classe dirigente. Il giovane, in particolar modo se brillante e capace, in alcuni ambienti è visto come una minaccia e non come una preziosa risorsa. Nascono anche all'interno degli organismi politici fazioni e movimenti che si impegnano affinché ci possa essere quel rinnovamento necessario alla società civile.
Vediamo cosa ci dice al riguardo la Dottrina Sociale della Chiesa: Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l'uomo: un bene utile, degno di lui perché adatto appunto ad esprimere e ad accrescere la dignità umana. La Chiesa insegna il valore del lavoro non solo perché esso è sempre personale, ma anche per il carattere di necessità. Il lavoro è necessario per formare e mantenere una famiglia, per avere diritto alla proprietà, per contribuire al bene comune della famiglia umana. La considerazione delle implicazioni morali che la questione del lavoro comporta nella vita sociale induce la Chiesa ad additare la disoccupazione come una «vera calamità sociale», soprattutto in relazione alle giovani generazioni. E proprio il carattere di necessità che ci deve far riflettere, necessità, tra le altre cose, a formare una famiglia. Il valore stesso della famiglia è dunque minato dall'assenza di lavoro o dal lavoro precario o dall'esigenza, non il desiderio, di emigrare per una professione in linea con le proprie competenze e aspirazioni.
Il cristiano si deve interrogare, e ancora una volta combattere contro i propri limiti. Troppo spesso la nostra natura ci porta ad applicare quella che possiamo definire la “politica dell'orticello”. Si tratta di un atteggiamento che ci induce a preoccuparci esclusivamente del nostro orticello, del fatto che i semi da noi piantati crescano bene. Al massimo possiamo condividere un po' della nostra acqua per innaffiare l'orticello attiguo del nostro vicino. Questo tipo di atteggiamento si traduce poi nella nostra preoccupazione di vedere “sistemati” i nostri figli, ma è una visione tremendamente miope. E prima lo si capisce meglio è. Così facendo infatti viviamo a testa china concentrando il nostro sguardo esclusivamente entro i confini del nostro appezzamento di terra, trascurando però che esso è inserito in un ecosistema molto più vasto e complesso. Nostro figlio, per quanto “sistemato”, vivrà i suoi giorni, amerà, pregherà, spererà, riderà, piangerà, interagendo con gli altri, muovendo i suoi passi all'interno di una società e, al contrario di una pianta, si muoverà, avvicinerà altri esseri umani e la sua formazione come individuo non potrà prescindere da queste interazioni. Non ha alcun senso lasciare i nostri figli con un ricco conto in banca in una terra povera, perché inesorabilmente sarà povero anche lui.

Il momento richiede una forte presa di coscienza da parte di chi ricopre posizioni di potere o di responsabilità. Politici, imprenditori, vescovi, insegnanti, genitori, per tutti è il momento di farsi carico di una circolo vizioso che deve essere interrotto. I giovani sono il futuro della nostra società, della nostra terra, e uccidendo il giorno di oggi abbiamo già ucciso in parte quello di domani. Dalla Spagna i ragazzi urlano la loro indignazione. In Italia lo fanno già da tempo, basta solo ascoltare e rimboccarsi le maniche. Questo è il momento.